La cefalea a grappolo: un disturbo raro, ma invalidante

Benessere & Salute

La cefalea a grappolo è una particolare forma di cefalea caratterizzata da attacchi dolorosi parossistici e particolarmente intensi, solitamente localizzati a livello periorbitario. La durata è in genere contenuta, andando da pochi minuti sino ad un massimo di

tre ore circa. Il dolore interessa tipicamente un occhio solo e si presenta in modo ricorrente e prevedibile, con periodi detti “grappoli” (“clusters”, dagli autori anglosassoni). Questi periodi presentano frequenza variabile (mediamente non più di 1 o 2 all’anno) e durata che può andare da alcune settimane a mesi interi.

La cefalea a grappolo viene definita episodica se la durata del cluster è inferiore all’anno; viene invece classificata come cronica se dura più di un anno, con periodi liberi inferiori al mese. Nelle forme episodiche il numero di attacchi giornalieri può anche essere molto elevato.

La cefalea a grappolo, non essendo secondaria a lesioni o alterazioni anatomiche, nè scatenata o determinata da altre malattie, viene definita primaria.

Tra i meccanismi implicati nella sua genesi vengono chiamati in causa fattori ormonali, alterazioni dell’orologio biologico, o ancora anomalie nelle funzioni ipotalamiche.
Non sono stati descritti o individuati trigger particolari, anche se le crisi sono usualmente precipitate dall’assunzione di alcool o altri vasodilatatori, come ad esempio la nitroglicerina. Il sesso maschile sembra essere più frequentemente interessato rispetto al femminile.

“Il dolore è intenso al punto di essere definito straziante”, illustra il Dott. Davide Borghetti, neurologo pisano “e mette a dura prova la pazienza e la sopportazione del Paziente”. Possono essere presenti sintomi accessori, come congestione nasale, scolo dalle narici, arrossamento della congiuntiva, lacrimazione. Il dolore insorge tipicamente sempre alla stessa ora,e porta ad intensa agitazione, irrequietezza, scarsa concentrazione. Non è rara l’insorgenza di una depressione reattiva alla sofferenza, con formulazione – nei casi più gravi – di pensieri o atti suicidari.

“E’ possibile imbastire una terapia preventiva per ridurre e limitare il numero degli attacchi” prosegue il dott. Borghetti “un farmaco di prima scelta è rappresentato dal verapamil, anche se non di rado impiegato con successo anche il litio”.

La terapia dell’attacco acuto prevede l’utilizzo dei triptani, i ben noti farmaci di prima linea contro l’emicrania, o l’inalazione di ossigeno puro (8-10 litri al minuto), con benefici percepiti già dopo 10 minuti o prima.

E’ comunque indispensabile rivolgersi ad un medico neurologo per un adeguato inquadramento diagnostico.